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n° 15
gennaio 2011

prima pagina n 15

editoriale

politica del fare ed agire politico

segnali di
accelerazione

patrie senza stato e meta-stato

Micco Spadaro, cronista di “grazie”

“la peste”
racconta la peste

 

 

 

 

 

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Micco Spadaro, cronista di “grazie”
tra barocco e miracoli
di Gianmatteo Funicelli

Napoli, giugno 1656: mentre il sole indora strade e quartieri, sotto la sagoma scura del Vesuvio, l’aria si fa più densa e avvolta nell’impregnata calura tra cigolii di carrozze. Una donna ben vestita si rinfresca alla fontana mentre un uomo la osserva, scioglie il laccio del borsello, prende carta e il suo punteruolo di carbone e le improvvisa un ritratto. L’uomo è Micco ‘o spadaro (sulle carte che contano, “Domenico Gargiulo, pittore e figlio di un forgiatore di spade”). A Napoli è conosciuto e rispettato, perché dipinge per il Viceré. Realizza vedute ai ricchi signori, ma è anche un cronista di strada che impugna pennello e cavalletto per raccontare pittura di “genere”, battaglie, part-2eventi di costume, miracoli e processioni. Ben presto, nel luglio infuocato, l’ondata nera della peste si avvicina. Lungo le strade migliaia di corpi senza vita. Riconosce anche i merletti e il volto ormai spento della donna alla fontana, Micco, quando con le gambe tremanti fugge lontano e raggiunge sfinito il portone della Certosa di San Martino. Per un breve lasso, l’artista viene ospitato dai frati per paura di essere infettato. Passato del tempo e scongiurato nel Regno il pericolo dell’epidemia, il maestro decise di rendere grazie con l’esecuzione di un autentico ex-voto: il lavoro su cavalletto che Micco dipinse per i monaci della Certosa è una grande macchina pittorica (207 x 305 cm) su tela, datata 1657. La scenografica ambientazione riporta un episodio sacro in un fatto storico, in quanto realmente avvenuto. Nello spazio luminoso in cui si imposta lo spettacolo divino, prendono parte all’evento tutti gli interessati: i monaci, il cardinale col priore, qualche passante che osserva incuriosito, ma anche lo stesso pittore e nientemeno la peste alla quale l’artista, nel racconto dipinto, dedica una macabra allegoria. Dallo sfondo di una Napoli dilaniata, ma che campeggia in tutta la sua lucida naturalezza, l’artista affronta la composizione miracolosa in un modesto cortile oltre un porticato che non esiste, ma che trae dal Chiostro dei Procuratori, dove passava i pomeriggi a preparare i suoi abbozzi. Gli arconi a tutto sesto filtrano la luce chiara dal loggiato e l’occhio converge sui certosini inginocchiati e assiepati attorno alla lapide bianca sul pavimento. Micco realizza con rapidPITTOREo getto i fedeli ritratti del priore, del cardinale Ascanio Filomarino, lui in abito rosso, e i volti di tutti i confratelli che implorano nell’armonia dei gesti la fine della disgrazia. Gli sguardi dei presenti puntano all’unisono il volo ascendente della Vergine con San Bruno, capostipite dell’ordine. Le due figure a mezz’aria intercedono verso il Cristo, che invece discende da un letto di nuvole mentre depone la spada fiammeggiante dell’ira ormai spenta. Sulla sinistra la scena ritarda e si raccorda ai presenti tramite lo sguardo del frate che con timore volta il capo verso la peste, una vecchia seminuda che viene scacciata da San Martino in persona. Sul pavimento, le sue ultime vittime. All’estremità opposta, tra gli astanti, Micco Spadaro con la mano al petto è il devoto che ringrazia, e lo fa in formula dipinta, indice di un valore di fede e devozione.

 

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QUADRO3

Domenico Gargiulo (detto Micco Spadaro), Rendimento di grazie dopo la peste (i monaci di San Martino rendono grazie per lo scampato pericolo della peste), olio su tela siglato e datato 1657
Napoli, Certosa e Museo di San Martino